Nell’arte occorre sempre

un principio di redenzione. Può essere pura tragedia se è alta tragedia, può essere ironia, pietà o l’aspro riso del forte. Ma sulla strada dei criminali deve camminare un uomo che non è un criminale, che non è un tarato, che non è un vigliacco. Nel poliziesco realistico quest’uomo è il detective.

E’ l’eroe, è tutto. Un uomo completo, un uomo comune, eppure un uomo come se ne incontrano pochi. Dev’essere, per usare un’espressione un poco abusata, un uomo d’onore per istinto, per necessità, per impossibilità a tralignare. Dev’esserlo senza pensarci e, certamente, senza mai parlarne troppo. Il miglior uomo di questo mondo è abbastanza buono anche per qualsiasi altro mondo…

Humphrey Bogart nei panni di Philip Marlowe
Raymond Chandler (The Atlantic Monthly, 1944)

La semplice arte del delitto: Philip Marlowe

( Dall’introduzione di Oreste Del Buono)


Chi non conosce Philip Marlowe?

È l’eroe di romanzi polizieschi celebri come “II grande sonno”, “La donna nel lago”, “Addio, mia amata”, “II lungo addio”. Sullo schermo ha avuto di volta in volta i tratti di Dick Powell, George Montgomery, Bob Montgomery e persino Humphrey Bogart. 

È il meno probabile realisticamente, anche se il più convincente artisticamente, dei grandi detectives. Davanti alla simpatia che è capace di suscitare, non solo il cavaliere Auguste C. Dupin di Edgar Allan Poe appare un fegatoso maniaco, non solo il poliziotto Lecoq di Emile Gaboriau appare un grossolano piedipiatti, non solo il sergente Cuff di Wilkie Collins appare un insopportabile sputasentenze, non solo l’infallibile Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle appare un’odiosa e arbitraria macchina calcolatrice, ma persino il padre Brown di Gilbert Keith Chesterton appare un’artificiosa macchietta, ma persino l’ispettore French di Freeman Wills Croft appare una mediacre nullità ma persino il commissario Maigret di Georges Simenon appare una specie di stucchevole sentina di bonomia e patetismo: la simpatia suscitata da Philip Marlowe sa di tenerezza e ammirazione, insieme, di rimpianto e compassione. Continua a leggere “La semplice arte del delitto: Philip Marlowe”

Erano pressappoco

le undici del mattino, mezzo ottobre, sole velato, e una minaccia di pioggia torrenziale sospesa nella limpidezza eccessiva là sulle colline. Portavo un completo blu scuro, cravatta e fazzolettino assortiti, scarpe nere e calzini di lana neri con un disegno a orologini blu scuro. Ero corretto, lindo, ben sbarbato e sobrio, e me ne sbattevo che lo si vedesse. Dalla testa ai piedi ero il figurino del privato elegante. Avevo appuntamento con quattro milioni di dollari.

Raymond Chandler, Il grande sonno (1939)

Uno studio in nero

La letteratura poliziesca tra spiagge dorate e giungle d’asfalto.

L’area della letteratura poliziesca che definiamo “noir” (ammesso che abbia ancora un senso applicare etichette ai generi letterari e perdersi nel maelström  dei sottogeneri) porta un nome francese ma vanta natali a stelle e strisce. La genesi del noir è legata alle opere di Raymond Chandler e Dashiell Hammett, capiscuola indiscussi del genere – e già ricadiamo nel girone infernale delle classificazioni! – hard-boiled.

Raymond Chandler

Nel saggio La semplice arte del delitto (1944)Chandler getta le basi del romanzo poliziesco realistico e riconosce a Hammett il merito di aver tolto il delitto dal vaso di cristallo del poliziesco all’inglese per buttarlo in mezzo alla strada, restituendolo così alla gente che lo commette per un motivo – e non semplicemente per fornire un cadavere a lettori oziosi, e con mezzi accessibili – non con pistole da duello intarsiate, curaro e pesci tropicali. Un lungo e ponderato addio al giallo tradizionale, insomma, per intingere la penna in qualcosa di più nero dell’inchiostro: il cuore violento di una società profondamente ingiusta. Il delitto, da Chandler in avanti, cesserà di costituire un mero problema di logica, un innocuo puzzle da ricomporre per ristabilire un ordine ad esso preesistente. 

A partire dal filone hard-boiled  la letteratura nordamericana sfornerà alcuni fra i più grandi capolavori del genere: romanzi neri accomunati dalla presa di coscienza di una realtà nella quale il confine tra legalità e illegalità è sfumato e la rabbia degli ultimi si scontra con la glaciale indifferenza degli “arrivati”. Sandro Ferri (editore e/o) osserva giustamente che in questo tipo di narrazioni non vi è nulla di consolatorio: il caos regna prima e dopo, indipendentemente dall’esito dell’inchiesta perché vi è la consapevolezza che la regola – e non già l’eccezione – del mondo è la violenza. Continua a leggere “Uno studio in nero”

Orient Express

Lo dico subito, a scanso di equivoci: ho un debole per Assassinio sull’Orient Express.

Non è il più bello, né il più ingegnoso, fra i romanzi della Regina del Giallo, eppure ha sempre esercitato su di me, per qualche misteriosa ragione, un fascino irresistibile. La Christie non ne fa menzione, nella sua autobiografia (che del resto si sofferma assai sporadicamente sull’attività letteraria dell’autrice); in compenso racconta l’emozione – vissuta un gran numero di volte – di viaggiare su un treno che, solo a pronunciarne il nome, evoca panorami esotici e avventure da togliere il fiato:

Avevo sempre sognato di viaggiare con l’Orient-Express. Durante i miei viaggi in Francia, in Spagna o in Italia, l’avevo spesso visto fermo a Calais, e avevo dovuto reprimere l’impulso a salirvi. Simplon – Orient Express – Milan, Belgrade, Stamboul… nomi magici, tappe incantate.

La stanza 441 dell’Hotel Pera Palas di Istanbul in cui Agatha Christie ha scritto Assassinio sull’Orient Express.

Dame Agatha adorava viaggiare, aveva una spiccata “predilezione per i treni (… è triste che oggi nessuno provi più per loro sentimenti d’amicizia”) e molte delle sue storie poliziesche si svolgono, in tutto o in parte, su un treno (Il mistero del Treno Azzurro, Istantanea di un delitto, L’espresso per Plymouth) o comunque ruotano intorno a un mezzo di trasporto (Avversario segreto, L’uomo vestito di marrone, Assassinio sul Nilo, Delitto in cielo, Un problema in alto mare, Morte sul Nilo). L’Orient Express, tuttavia, le era particolarmente caro in quanto rappresentava il suo primo, autentico passo verso l’indipendenza:

… mi precipitai da Cook, annullai il biglietto per le Indie Occidentali e al suo posto acquistai quello per Istanbul, completo di prenotazione sull’Orient-Express. Sarei poi proseguita fino a Damasco, da dove, attraversando il deserto, avrei raggiunto Bagdad. … Avevo compiuto il giro del mondo con Archie (il colonnello Archibald Christie, da cui divorzia nel 1928, n.d.R.), ero stata alle Canarie con Carlo (Charlotte Fisher, la governante-segretaria, n.d.R.) e Rosalind (la figlia, n.d.R.) e ora stavo andandomene per conto mio. Dovevo scoprire che persona ero e se avrei davvero finito per dipendere dagli altri come credevo. … Dovevo tener conto solo di me stessa e non sapevo se mi sarebbe piaciuto. Finora mi ero comportata esattamente come i cani, che escono solo se qualcuno li porta fuori. Forse era destino che restassi così, ma io mi auguravo il contrario.

Agatha Christie, La mia vita (1977)

Sono in pochi, forse, a ricordare che l’episodio su cui si basa Assassinio sull’Orient Express – il rapimento e l’uccisione della piccola Daisy Armstrong – si ispira alla terribile tragedia che, nel 1932, colpì l’aviatore statunitense Charles Lindbergh, il cui figlioletto di un anno e mezzo venne sequestrato e barbaramente assassinato. Il rapimento di Baby Lindbergh e le indagini che portarono alla cattura e alla condanna a morte del rapitore (un immigrato tedesco, ex detenuto, che tuttavia si proclamò sempre innocente) sono al centro di J.Edgar, il bellissimo – e poteva essere altrimenti? – film di Clint Eastwood dedicato alla vita e alla carriera del direttore dell’FBI J.Edgar Hoover. La pellicola mostra come Hoover abbia letteralmente rivoluzionato le tecniche investigative dell’FBI, promuovendo un utilizzo via via più consapevole e specialistico della scienza e di tutti i mezzi tecnologici a disposizione; la risoluzione del caso Lindbergh, ad esempio, si deve in gran parte all’impiego di banconote tracciabili per il pagamento del riscatto.

Nella finzione romanzesca veniamo a sapere relativamente presto che la vittima – il ricco uomo d’affari americano Samuel Edward Ratchett – era implicata nel rapimento della piccola Armstrong; l’omicidio, pertanto, potrebbe essere in qualche misura collegato ai suoi trascorsi criminali.

La soluzione del mistero è di quelle che non si dimenticano; così stupefacente da guadagnarsi una (pungente) riflessione nel bel saggio di Raymond Chandler intitolato La semplice arte del delitto:

Avviso importante per chi non avesse ancora letto il libro: l’estratto che andiamo a pubblicare svela l’identità del colpevole, sentitevi liberi di saltarlo a piè pari!

“Immagino che il problema principale del giallo tradizionale o classico o deduttivo o logico-deduttivo stia nel fatto che per raggiungere la perfezione avrebbe bisogno di un cocktail di qualità che non è facile trovare in un solo scrittore. Quello che sa impostare costruzioni lucide e solide non è in grado di fornire personaggi vivaci e dialogo brillante: non ha senso del ritmo né profondità di osservazione. Il romanziere dotato di una logica ferrea ha tanto senso dell’atmosfera quanto una patata lessa. L’investigatore-scienziato possiede un bel laboratorio tutto nuovo e scintillante; ma, ohimé, non riesco mai a ricordare che faccia abbia. Il tipo in grado di sfornare una prosa vivace e colorita rifiuta categoricamente di sottoporsi alla massacrante fatica di smontare gli alibi a prova di bomba. Il maestro di rara sapienza vive, psicologicamente, all’epoca delle crinoline.

sempliceSe sapete tutto quello che è bene sapere a proposito dell’arte ceramica e dei ricami egizi non sapete niente della polizia. Se sapete che il platino rifiuta di fondere al di sotto dei 2800 gradi Fahrenheit, ma sapete che fonderà al primo sguardo di due limpidi occhi azzurri, se posto al contatto di un pane di stagno, allora ignorate come fanno all’amore i giovanotti del XX secolo. E se siete abbastanza documentato intorno all’elegante flanerie della riviera francese d’anteguerra da ambientare la vostra vicenda in quei paraggi, allora ignorate che un paio di grosse capsule di barbitalio non solo non uccidono un uomo, ma non lo addormentano neppure, se lotta un poco contro la sonnolenza…  

C’è poi un libro di Agatha Christie … imperniato su Hercule Poirot, l’ingegnoso belga che parla come una traduzione letterale dal francese eseguita da uno scolaretto delle medie. Qui, dopo aver fatto debitamente funzionare le sue “piccole cellule grigie”, il signor Poirot decide che nessuno, su una certa vettura letto, può aver compiuto il delitto da solo, e perciò tutti l’hanno commesso insieme, suddividendo il processo in una serie di operazioni semplici, come il montaggio di uno sbattiuova. Questo è il genere di intreccio che senza dubbio metterà fuori combattimento le intelligenze più poderose. Solo un deficiente potrebbe indovinare come sono andate le cose.” (Raymond Chandler: La semplice arte del delitto, 1944).

*** FINE SPOILER ***

Come annota giustamente Oreste Del Buono nella sua prefazione all’edizione italiana del romanzo, Chandler ha torto e ragione al medesimo tempo. Ci gioca un bel tiro, Dame Agatha, ma lo fa a carte scoperte, mostrandoci con lealtà – e diabolica maestria, ça va sans dire – il cammino da seguire per battere sul tempo le cellule grigie di Poirot. Se non vi riusciamo, e il mistero rimane irrisolto finché un omino dai baffi impomatati non vi getta sopra la luce… ebbene: nostra culpa!

La prima trasposizione cinematografica del romanzo (Assassinio sull’Orient Express, 1974 – regia di Sidney Lumet) realizzò un piccolo, grande miracolo.

Michael York e Jacqueline Bisset interpretano in Conte e la Contessa Andrenyi

La Regina del Giallo non aveva mai particolarmente gradito gli adattamenti delle sue opere, e aveva sempre giudicato gli interpreti di Poirot e Miss Marple curiosamente inadatti al ruolo. Possiamo dunque immaginare con quale spirito presenziò alla prima londinese del film… lei che non amava apparire in pubblico e che aveva dovuto assistere, nel corso degli anni, al completo stravolgimento di molte delle sue “creature”.

Il genio attoriale di Albert Finney, tuttavia, ci mise lo zampino. Illustre terza scelta (prima di lui erano stati contattati, per il ruolo del detective belga, Paul Scofield e Alec Guinness), egli diede voce e corpo a un Hercule Poirot a dir poco memorabile. “Perfetto”, si sbilanciò la Christie (che sfortunatamente non ebbe mai modo di assistere alle straordinarie interpretazioni di David Suchet, protagonista della serie televisiva britannica Agatha Christie’s Poirot).

La pellicola è fedele al romanzo e ne conserva intatto il fascino, con il valore aggiunto di un cast che possiamo tranquillamente definire “stellare”: