Caffè di notte

Nel mio quadro sul Caffè di notte ho cercato di esprimere l’idea che il caffè è un posto dove ci si può rovinare, diventar pazzi, commettere dei crimini. Inoltre ho cercato di esprimere la potenza tenebrosa quasi di un mattatoio, con dei contrasti tra il rosa tenero e il rosso sangue e feccia di vino, tra il verdino Luigi XV e il Veronese, con i verdi gialli e i verdi blu intensi, tutto ciò in un’atmosfera di una fornace infernale di zolfo pallido.

E pur tuttavia sotto un’apparente levità giapponese e una bonomia alla Tartarin.

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Che direbbe però di questo quadro il signor Tersteeg, lui che davanti a un Sisley, quel Sisley che è il più discreto e il più dolce degli impressionisti, ha già detto: “Non posso fare a meno di pensare che quando l’artista ha dipinto ciò era un po’ brillo”. Allora davanti al mio quadro direbbe che si tratta di un delirium tremens in pieno.

Vincent Van Gogh (30 marzo 1853 – 29 luglio 1890)

Notorious, l’amante perduta

Ingrid Bergman nacque a Stoccolma il 29 agosto di cent’anni fa e il 29 agosto del 1982, sessantasette anni dopo, morì.

Quarta più grande attrice della storia del cinema secondo l’American Film Institute, la Bergman conquistò tre Oscar – come miglior attrice protagonista per il thriller Angoscia (nel 1945) e Anastasia (nel 1957) e come attrice non protagonista per Assassinio sull’Orient Express (ricordate l’ipersensibile missionaria svedese devota a San Cristoforo?) – e il cuore di milioni di cinefili in tutto il mondo.

Interprete cara al Maestro del Brivido – recitò in Io ti salverò (Spellbound, 1945), Notorious, l’amante perduta (Notorious, 1946) e Il peccato di Lady Considine (Under Capricorn, 1949) – la ricordiamo oggi “rivedendo” insieme a voi la pellicola che François Truffaut definì “la quintessenza di Hitchcock”: Continua a leggere “Notorious, l’amante perduta”

Le verità di Bébé Donge

Bébé! Che idea chiamarla Bébé! Dopo dieci anni di matrimonio non si era ancora abituato…

Il nomignolo suonerà familiare agli estimatori di Georges Simenon e del poliziesco d’autore: perla noir di rara – e alquanto sottovalutata – bellezza, La vérité sur Bébé Donge (1942) costituisce una delle vette più alte della produzione simenoniana.

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Il racconto si sviluppa intorno all’avvelenamento del facoltoso uomo d’affari François Donge: in una tranquilla domenica d’estate sua moglie, l’eterea e raffinata Bébé, gli versa una dose letale di arsenico nel caffé. Scampato alla morte per un soffio, François avrà modo di riflettere sul gesto – freddo e premeditato – della moglie e di scandagliare gli abissi più profondi della sua enigmatica personalità. Continua a leggere “Le verità di Bébé Donge”

Sottomissione, di Michel Houellebecq

È la sottomissione. L’idea sconvolgente e semplice, mai espressa con tanta forza prima di allora, che il culmine della felicità umana consista nella sottomissione più assoluta.

Parigi, 7 gennaio 2015: un attentato terroristico in seguito rivendicato dal braccio yemenita di Al-Qāʿida insanguina la sede del periodico satirico “Charlie Hebdo” durante la riunione settimanale di redazione, provocando la morte di dodici persone (fra le quali il direttore Stéphane Charbonnier e i noti vignettisti Cabu, Tignous, Philippe Honoré e Georges Wolinski) e il ferimento di altre undici. In quello stesso giorno vede la luce in Francia il nuovo, attesissimo romanzo di Michel Houellebecq, già protagonista – coincidenza nella coincidenza che dimostra una volta di più, se mai ve ne fosse bisogno, che la realtà supera sempre, e di gran lunga, la fantasia – del n. 1177 del controverso “journal irrésponsable” uscito in edicola poche ore prima della strage.

“Le predizioni del mago Houellebecq”, recita la vignetta in copertina. “Nel 2015 perdo i denti … nel 2022 faccio il Ramadan!”
“Le predizioni del mago Houellebecq”, recita la vignetta in copertina. “Nel 2015 perdo i denti … nel 2022 faccio il Ramadan!”

Aspramente criticato e tacciato di islamofobia prima ancora di venire al mondo (ha giocato un ruolo cruciale, in questo, la personalità a dir poco ingombrante dell’autore, provocatore nato finito sotto processo nel 2002 per aver definito l’Islam “la più stupida delle religioni”, “pericolosa fin dalla sua apparizione”), il lavoro in commento colpisce anzitutto per l’assoluta mancanza di passaggi o riferimenti anche solo vagamente ostili alla cultura islamica: quest’ultima, che pure è intrigante ed efficacissima cornice nonché filo conduttore del romanzo (assistiamo, per il tramite di François, alle magnifiche sorti della Fratellanza musulmana, alla sua inarrestabile quanto pacifica ascesi alle vette del potere), non ne costituisce affatto l’argomento centrale. Potente e direi perfino coraggiosa narrazione distopica che può senz’altro annoverarsi tra le migliori opere di fantapolica mai scritte, “Sottomissione” racconta, a ben guardare, tutt’altro. Continua a leggere “Sottomissione, di Michel Houellebecq”

Bumerang!

di Aniello Troiano

Editore: Homo Scrivens

2013, Valle Caudina e dintorni (Campania)

Peppe “Montana” è un piccolo spacciatore di hashish e marijuana, cresciuto a pane e film di gangster. In particolare, ha un debole per Scarface – da cui il soprannome. Sogna di diventare un boss. Nel tentativo di compiere il grande passo, richiederà l’aiuto dei suoi amici di infanzia: Tonino “a Tiella” (la padella), aspirante chef che si arrangia lavorando come cameriere, afflitto da una sorta di complesso di inferiorità nei confronti di Gordon Ramsay; e Sergio, detto “Sergiolino”, studente universitario figlio di papà, pigro e ampiamente fuori corso, giocatore esperto di Play Station.

In parallelo, Luigi detto “Giggino ‘a Faina”, giunto al culmine dell’ossessione per la provocante e disinibita Angelica, chiederà una mano ai suoi “amici” per riuscire ad andarci a letto. Si tratta di Stefano “o Nanett”, metallaro complottista e ossessionato da massoneria e simili, e Michele “a Tipo”, amante dell’house e delle macchine modificate, come la sua Tipo rossa “tamarrata”. Gli unici due poveracci che in qualche modo gli vogliono bene, solo perché Faina, andando contro la sua natura, non li ha ancora fregati.

Due storie, due piani, due “gang”. Ma siamo sicuri che tutto filerà liscio?

Da oggi in libreria!

Parigi, 2011

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Quella primavera ho collaborato alla sceneggiatura di una serie televisiva.

Questo il soggetto: una notte, in un paese di montagna, tornano dei morti. Non si sa perché, né perché proprio quei morti e non altri. Loro stessi non sanno di essere morti. Lo capiscono dallo sguardo spaventato delle persone che amano, che li amavano, accanto alle quali vorrebbero riprendere il proprio posto.

Non sono zombie, non sono fantasmi, non sono vampiri. Non siamo in un film fantastico ma nella realtà.

Ci si chiede, seriamente: che cosa succederebbe se questo evento impossibile capitasse per davvero? Se entrando in cucina trovaste vostra figlia adolescente, morta da tre anni, che si sta preparando una scodella di cereali con la paura di essere sgridata perché è tornata a casa tardi e non ricorda assolutamente nulla di ciò che è accaduto la sera prima, voi come reagireste? In concreto: quali gesti fareste? Quali parole direste?

Emmanuel Carrère, Il Regno (Adelphi, 2015): da oggi in libreria!

Morte in mare aperto

… e altre indagini del giovane Montalbano

Inutile girarci intorno: per chi ama la letteratura poliziesca di qualità l’uscita in libreria di un “nuovo Montalbano” non può non essere una festa.

L’anno appena archiviato, che segna il ventennale della prima indagine del commissario di Vigàta (“La forma dell’acqua”, 1994), ha portato con sé un paio di novità a dir poco golose: un romanzo, “La piramide di fango”, che affonda il dito nella piaga dell’abusivismo edilizio, e la deliziosa raccolta di racconti che mi accingo a commentare. Otto storie ognuna delle quali costituisce, a ben guardare, un romanzo in miniatura sorretto da una compiuta e impeccabile trama gialla.

Protagonista assoluto è un giovane Salvo Montalbano – coglie nel segno Salvatore Silvano Nigro nel definirlo, in quarta di copertina, “aspramente giovane”, “strabordante e pieno di slanci” – che macina inchieste con maigrettiana umanità e una fresca, tenace esuberanza che rappresenta la cifra più bella e significativa degli scritti in parola. Continua a leggere “Morte in mare aperto”

Venti regole per scrivere romanzi polizieschi

Il romanzo poliziesco è un gioco intellettuale; anzi uno sport addirittura. Per scrivere romanzi del genere ci sono leggi molto precise: non scritte, forse, ma non per questo meno rigorose, e ogni scrittore poliziesco, rispettabile e che si rispetti, le deve seguire.

Nel 1928, lo scrittore e critico d’arte statunitense S.S. Van Dine (pseudonimo di Willard Huntington Wright), “papà” del detective Philo Vance, pubblicò su The American Magazine un articolo destinato ad entrare nella storia della letteratura poliziesca: Twenty Rules For Writing Detective Stories, una sorta di galateo del perfetto scrittore di gialli in venti semplici – e quasi tutte sacrosante! – regole (in rosso troverete le mie annotazioni): Continua a leggere “Venti regole per scrivere romanzi polizieschi”

Accade, talvolta

, che un microscopico moscerino increspi la superficie di una pozzanghera più della caduta di un enorme sasso. E’ ciò che avvenne quella domenica alla Châtaigneraie. Altre domeniche, nella memoria dei Donge, erano rimaste in un certo senso storiche, come la domenica della bufera, quando il faggio si era schiantato al suolo “appena tre minuti dopo che era passata la mamma”, oppure la domenica della grande litigata, che aveva raffreddato per parecchi anni i rapporti fra le due coppie.

Quella domenica, che si potrebbe chiamare la domenica del grande dramma, trascorse invece con la limpidezza e la calma di un ruscello in pianura.

Georges Simenon, La verità su Bébé Donge (1942)

L’appuntamento

cop-appuntamentodi Piergiorgio Pulixi

Editore: E/O

“Era proprio la cosa che volevo fare con i miei racconti”, confessò ad un certo punto della sua incredibile vita lo scrittore, poeta e saggista statunitense Raymond Carver: “(…) far sì che il lettore fosse attratto e coinvolto all’interno del racconto fino a essere incapace di distogliere lo sguardo dal testo, a meno che non gli andasse a fuoco la casa attorno”.

La lettura del nuovo lavoro di Piergiorgio Pulixi sortisce precisamente questo effetto e lo fa sin dalle prime, folgoranti battute. Romanzo breve dal sapore ipnotico che reinventa i confini del noir psicologico dribblando ogni classificazione di genere, “L’appuntamento” attrae e coinvolge con la “semplice” forza di una storia che semplice – nel senso di lineare e più dritta di un fuso, senza orpelli – lo è davvero.

Continua a leggere “L’appuntamento”

Il grido

Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. 

Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad una palizzata. 

Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. 
I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura… e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.

Edvard Munch (Løten, 12 dicembre 1863 – Oslo, 23 gennaio 1944)

Lo studio circolare, di Anna Katharine Green (Nero Press)

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Una piccola stanza, di forma circolare, illuminata da una terrificante luce rossa. Accanto alla porta, un ombrellino dal manico di perla e al di là dell’ampia scrivania il ritratto, maestoso, di una ragazza dal fascino insondabile. Sul pavimento alcuni petali di rosa, una scia di splendenti lustrini neri e un tappeto in pelle d’orso su cui giace il padrone di casa, morto oltre ogni ragionevole dubbio, con un pugnale conficcato nel cuore e una croce dalle finiture dorate adagiata sul petto. Un delitto insolito per l’attempato detective Ebenezer Gryce, che dovrà vedersela con un inquietante domestico sordomuto, un pappagallo assai ciarliero…

… e una collaboratrice davvero speciale: Miss Amelia Butterworth di Gramercy Park ovvero – nientemeno che! – “la donna più rispettabile del mondo”. Ficcanaso impenitente, detective per caso e cristallina vocazione, Miss Butterworth affiancherà Gryce in un’avventura dal sapore epico tra rancori, segreti di famiglia e inconfessabili propositi di vendetta.

Continua a leggere “Lo studio circolare, di Anna Katharine Green (Nero Press)”

Tre stanze per un delitto

di Sophie Hannah

coverEditore italiano: Mondadori

Hercule Poirot è tornato. A trentanove anni esatti dalla sua ultima, fatale indagine – Agatha Christie diede alle stampe Curtain. Poirot’s Last Case nel settembre del 1975 – il detective più amato nella storia della letteratura e le sue formidabili cellule grigie si rimettono all’opera fra gli stucchi e le finiture di pregio dell’Hotel Bloxham, nel cuore di Londra. Si tratta, conviene precisarlo subito, di una “resurrezione” squisitamente letteraria: le vicende del romanzo in commento vedono infatti protagonista un Poirot nel fiore degli anni e si svolgono alla fine degli anni Venti del secolo scorso, collocandosi temporalmente fra Il mistero del Treno Azzurro (1928) e Il pericolo senza nome (1932). Una rentrée fortemente voluta dagli eredi della Regina del Giallo e affidata alla penna esperta di Sophie Hannah, signora del thriller psicologico che ha studiato a fondo l’opera agathiana e non ha mai fatto mistero di considerarla alla stregua di un “testo sacro”. Quel che è certo è che, nel raccogliere un testimone a dir poco scottante, la scrittrice britannica maneggia con cura amorevole la creatura della sua beniamina, ponendola al centro di un enigma di grande fascino che non avrebbe sfigurato in quella che Dame Agatha amava definire “la mia fabbrica di salsicce”.

Continua a leggere “Tre stanze per un delitto”

Il richiamo del cuculo

di Robert Galbraith

71x37sqmSmL__SL1500_Editore italiano: Salani

Poco più di un anno fa, il 14 luglio 2013, uno scoop del Sunday Times ha rivelato al mondo che il romanzo in commento, uscito in libreria nell’aprile del 2013 a firma dell’esordiente Robert Galbraith, è opera del multiforme ingegno di J.K. Rowling. A chi frequenta con regolarità i social network non sarà sfuggita la polemica suscitata dal tweet al vetriolo di Kate Mills, editor presso la Orion Publishing:

Così adesso posso dire di aver sbattuto la porta in faccia a J.K. Rowling. Ho letto “The Cuckoo’s Calling” e ho detto no. Qualcun altro ha intenzione di confessare?

Non sapremo mai quanti e quali editori abbiano rifiutato il manoscritto di Robert Galbraith; quel che è certo è che, in seguito alle rivelazioni del quotidiano britannico, “Il richiamo del cuculo”, partito in sordina nonostante le numerose recensioni favorevoli, ha conosciuto un incremento delle vendite che possiamo senz’altro definire vertiginoso: i dati forniti da Amazon e dalla stampa inglese parlano di sette milioni e mezzo di copie vendute in una sola mattina!  Continua a leggere “Il richiamo del cuculo”

I diabolici

di Pierre Boileau e Thomas Narcejac

Editore italiano: Adelphi

«Una sorta di interminabile attacco di cuore»: così è stato definito I diabolici, che – unanimemente considerato un classico della letteratura noir – non ha perso un grammo del suo torbido fascino: come dimostrano i commenti dei giovani blogger francesi, i quali scoprono stupefatti quanto l’attuale letteratura psicologica francese «à suspense» debba a un libro che ai loro occhi appare «di un’incredibile modernità», dotato di «un intrigo perfetto» e di «una tensione che fino all’ultimo non ti dà un attimo di tregua». Come nei migliori romanzi di Simenon, quello che conta qui è la progressiva perdita, da parte del protagonista, della percezione della realtà, il suo sprofondare sempre più allucinato in una vertigine di angoscia e di terrore in cui i deliri si accavallano ai ricordi d’infan­zia e a un lacerante senso di impotenza.

Nei Diabolici compaiono per la prima volta alcuni dei marchi di fabbrica della sterminata, formidabile produzione di Boileau e Narcejac: lo schema triangolare, l’am­bienta­zio­ne provinciale e piccoloborghese, il motivo del colpevole tormentato dal rimorso e dalla paura, la contiguità fra innocenza e colpa; e soprattutto l’inversione dei ruo­li: in un’autentica spirale di orrore, l’as­sassino si trasforma in una vittima braccata da «colei che non c’è più» – la donna che sa di aver ucciso. Non a caso Francis Lacassin (sceneggiatore di molti Maigret televisivi e grande studioso di Simenon) ha scritto che proprio grazie a Pierre Boileau e Thomas Narcejac «il romanzo poliziesco senza poliziotti è diventato una variante tragica del romanzo tout court».

In libreria

Hercule Poirot è tornato!

imagesSEULBAAUTre stanze per un delitto, di Sophie Hannah

Editore italiano: Mondadori

Dopo l’ennesimo caso risolto, Hercule Poirot ha finalmente deciso di prendersi una vacanza. E visto che viaggiare è molto stancante, quale migliore destinazione di Londra stessa? Così, senza dire nulla a nessuno, ha affittato una camera in una pensione cittadina, deciso a godersi il meritato riposo, al riparo dagli assalti di chi cerca il parere del detective più famoso del mondo. Ma se, per una volta, Poirot non insegue il mistero, è il mistero a inseguire lui.

Una sera, mentre è seduto a un tavolo di un piccolo locale, intento a gustare un delizioso caffè, irrompe una donna, sconvolta. Poirot le si avvicina, presentandosi come un poliziotto in pensione. La donna sembra spaventarsi ancora di più e gli chiede di assicurarle che non è più in servizio. Quando Poirot glielo conferma, lei gli confessa che sta per essere commesso un omicidio. La vittima è lei, e merita di essere uccisa. Per questo lui deve prometterle che non farà nulla per salvarla e non cercherà, successivamente, di trovare il colpevole. A quel punto la donna corre fuori dal locale e sparisce nella notte. Quanto c’è di vero in quel racconto? E i tre omicidi commessi a Londra quella stessa sera sono collegati alle parole della donna?

*

A trentanove anni dalla sua ultima apparizione letteraria, Hercule Poirot, il detective più famoso e amato del mondo, ritorna per risolvere tre delitti apparentemente inspiegabili. Per la prima volta gli eredi di Agatha Christie hanno autorizzato che il personaggio inventato dalla scrittrice britannica nel 1920 faccia la sua ricomparsa, interpretato dalla penna di una nuova autrice. E la scrittrice chiamata a questo compito è Sophie Hannah, maestra inglese del thriller psicologico, i cui romanzi hanno venduto, nel solo Regno Unito, centinaia di migliaia di copie, vincendo numerosi premi e venendo tradotti in più di venti paesi.

In libreria

Dato che non le restano

più di diciannove ore di vita prima di essere assassinata, la signora Adelaide Testa Simonis – Laide per gli intimi – e la sua casa in Costa Azzurra meritano una descrizione piuttosto minuziosa.

The Life - Copia

L’appartamento dove vive la signora è al quinto e ultimo piano di un bianco palazzo floreale in Boulevard de Cimiez, a Nizza. E’ gradevolmente esposto a sud, verso il mare, e i terrazzi si affacciano su un giardino in parte privato (per gli appartamenti a piano terra), in parte condominiale. Lo si raggiunge con un ascensore dagli splendenti cristalli molati. Intorno alla scala curva si snoda una ringhiera dove ciliegie stilizzate rincorrono diafani iris. Questi stessi fiori, in due gradazioni di cobalto e crema, li ritroviamo nell’atrio dell’appartamento, disposti in un vaso di Lalique.

Gianni Farinetti, Un delitto fatto in casa (Marsilio, 1996)

Scrivo perché

è sempre meglio che scaricare casse al mercato centrale.
Scrivo perché non so fare altro.
Scrivo perché dopo posso dedicare i libri ai miei nipoti.
Scrivo perché così mi ricordo di tutte le persone che ho amato.
Scrivo perché mi piace raccontarmi storie.
Scrivo perché mi piace raccontare storie.
Scrivo perché alla fine posso prendermi la mia birra.
Scrivo per restituire qualcosa di tutto quello che ho letto.

Andrea Camilleri, Come la penso. Alcune cose che ho dentro la testa (2013)

Tanti auguri, Maestro!

La notte delle pantere

la-notte-delle-pantere-L-GQTwLddi Piergiorgio Pulixi

Edizioni E/O

Biagio Mazzeo è tornato.

Per chi ha avuto la fortuna di leggere Una brutta storia (Edizioni e/o, 2012), primo adrenalinico capitolo della serie dedicata all’ispettore superiore della Narcotici e alla sua banda di poliziotti corrotti (“la mia famiglia”, puntualizzerebbe Mazzeo con qualche buona ragione: quel branco d’anime allo sbando rappresenta il suo unico, ancorché fragilissimo, legame con la sfera degli affetti), basterà questa semplice frase a suscitare un moto di contentezza.

Avevamo lasciato le pantere della Narcotici con trecento chili di cocaina purissima fra le mani e un mare di sangue e violenza dietro le spalle; “Non c’era bisogno di parole per capire che una nuova guerra era appena iniziata”, recita l’explicit di “Una brutta storia” e il secondo capitolo – la seconda puntata, verrebbe da dire nella speranza di veder presto gli eroi pulixiani sul grande o sul piccolo schermo – riparte precisamente da qui: Continua a leggere “La notte delle pantere”

Intervista a Piergiorgio Pulixi (II)

Ciao Piergiorgio, che piacere ritrovarti!

Intervista a Piergiorgio PulixiA due anni dalla pubblicazione di “Una brutta storia” (Edizioni e/o, 2012) torna Biagio Mazzeo, ispettore superiore della Narcotici a capo di una banda di poliziotti corrotti. “La notte delle pantere” (Edizioni e/o, 2014) agguanta la storia laddove si era – grandiosamente – interrotta e le dà un brusco, vertiginoso giro di vite. Ci racconti com’è nato questo secondo (e non ultimo, come autorizza a pensare l’epilogo) capitolo della saga? Avevi già concepito un’intera serie dedicata a Mazzeo e ai suoi o hai deciso di continuare dopo aver scritto “Una brutta storia”?

Ciao Simona, è un piacere ritrovarti e grazie mille… Da quando ho iniziato a pensare al progetto delle pantere, quindi diversi anni fa, ho cercato di fare qualcosa di nuovo e diverso. Volevo creare una saga noir che valicasse un po’ i generi, contaminandola con l’epica, l’action, il dramma e la tragedia, e volevo inoltre creare un tipo di serialità diversa da quella tradizionale dei gialli o dei polizieschi: qualcosa di più seriale, che avesse delle trame autoconclusive per quanto riguarda ogni singolo libro, ma che avesse una storyline complessiva, un arco più lungo che abbracciasse tutti i romanzi; per spiegarmi meglio, è come se Una brutta storia, La notte delle pantere, e i prossimi libri siano un solo romanzo: un lungo dramma poliziesco legato a questa “famiglia” di poliziotti e alla città dove si muovono. Quindi, per tornare alla tua domanda, sapevo benissimo che ci sarebbe stato un seguito e cosa vi sarebbe successo, così come – per dire – so benissimo cosa succederà nel quarto o nel decimo episodio della saga perché ho impiegato anni a elaborare la storyline generale.

la-notte-delle-pantere-L-GQTwLdNe “La notte delle pantere” Biagio Mazzeo intraprende una missione ad altissimo rischio e gioca la sua partita personale col piede incollato all’acceleratore: i suoi demoni interiori lo spingono al limite e perfino oltre facendo esplodere, ancor più che nel primo romanzo, tutte le sue contraddizioni. Che rapporto hai con questo – mi scuserai se perdo per un momento l’aplomb dell’intervistatrice – straordinario personaggio? Cosa pensi di lui? Dove pensi che possa arrivare? 

Non è facile dirti cosa penso di lui, nel senso che è un personaggio talmente forte e carismatico, ha questa bruciante ambizione che lo muove e al tempo stesso è un uomo all’antica, legato a un’idea di famiglia molto romantica, insomma è talmente complesso e contraddittorio che non posso darti un giudizio generale su di lui, soprattutto perché è un personaggio in costante evoluzione: la storia, le vicende che vive lo cambiano, cambiano i rapporti che ha con i suoi uomini e le donne della sua vita, quindi è difficile catturarne l’essenza. Penso che sia sicuramente molto enigmatico, affascinante e dotato di un fortissimo istinto di sopravvivenza che lo porta a compiere azioni deplorevoli, però, nella sua testa, giustificate da un bene superiore che è l’amore per la sua famiglia… Al momento posso dirti che è sicuramente stanco, vorrebbe un po’ di pace, ma le circostanze glielo impediscono, soprattutto dopo La notte delle pantere. Anche perché quella notte non è per niente finita: come dice un personaggio nel terzo romanzo della serie “Ogni notte per noi è una cazzo di notte delle pantere”. Questo, a parte il linguaggio colorito, sintetizza qual è il percorso che Biagio e i suoi dovranno affrontare.

“La notte delle pantere” affronta temi di grande, drammatica attualità: su tutti, il rapporto malato e quasi simbiotico fra criminalità organizzata e politica. Leggendo il romanzo non si può fare a meno di domandarsi se figure come Biagio Mazzeo e Irene Piscitelli (tostissima dirigente di pubblica sicurezza del Servizio Centrale Operativo della polizia di Stato, altro personaggio che non si lascia dimenticare) non costituiscano un “male necessario”, nelle società cosiddette moderne…

Non lo so… io penso che per cultura e retaggi del passato noi italiani siamo sempre portati a pensare e scegliere “il male minore”. Come individuo, come cittadino, mi verrebbe da dirti che questo è sbagliato, che se una persona entra in politica o decide di indossare una divisa non debba diventare un “male necessario”, non debba scendere a patti, mai, poiché altrimenti perverte il proprio senso morale, la propria “missione”. Ovviamente questo non accade nel mondo reale, dove in realtà il compromesso è l’unica moneta vigente in grado di permetterti di stare in piedi nei mondi sopra citati… Se invece ti devo rispondere come romanziere, allora ti devo confessare che raccontare la zona grigia che è dentro questi personaggi, quel luogo dove istinto, morale, e corruzione entrano in conflitto è davvero molto interessante ed eccitante dal punto di vista narrativo; e penso che sia uno degli aspetti che interessano di più anche ai lettori: vedere i personaggi superare un limite e venire sommersi dalle conseguenze, cercando di tirarsene fuori quando ormai è troppo tardi.

Grandi temi ma prima di tutto e avanti ogni cosa una grande storia. Tu stesso hai affermato in diverse occasioni, se ben ricordo, di sentirti un romanziere “commerciale” e “popolare”, “più romanziere che scrittore”: possiamo dire che, secondo il tuo punto di vista, la scrittura è principalmente una forma di intrattenimento?

Certo, lo possiamo dire, ma lo possiamo dire per “me”. Voglio dire, ogni autore approccia la scrittura con modi, intenti e filosofie diverse. Io sicuramente non nascondo di essere un autore commerciale: scrivo romanzi di intrattenimento. Cerco di essere un intrattenitore puro. Il mio scopo è far evadere il lettore, farlo emozionare, regalargli un grado di intrattenimento altissimo che deve competere (e superare) quello della tv, dei videogiochi, del cinema, delle partite di calcio e delle serie tv. Non devo dare tregua al lettore: lo devo afferrare per la gola dalla prima riga della prima pagina e trascinarlo fino all’ultima facendogli dimenticare tutti i casini della sua vita, facendogli sperimentare tutta una serie di emozioni che lo elettrizzi, lo ecciti, gli mettano paura e lo facciano arrabbiare allo stesso tempo; e per farlo devo utilizzare tutta l’arte, la tecnica, e il talento che ho, giocando anche sporco, se necessario. Dal punto di vista delle mie ambizioni letterarie di sicuro quando scrivo un romanzo entro in “modalità Mazzeo” nel senso che il fine giustifica qualsiasi mezzo: e il fine nel mio caso è regalare al lettore un’esperienza indimenticabile che lo faccia ritornare nel mio mondo con ancora più fame di emozioni e adrenalina. Se non creo “dipendenza e crisi d’astinenza” fallisco nei miei intenti di romanziere. E non mi piace fallire…

Dal maggio scorso sei in libreria anche con un noir a firma del Collettivo Sabot, il gruppo di scrittori (fondato da Massimo Carlotto nel 2007) di cui fai parte. “Padre Nostro” (Rizzoli, 2014), scritto con Stefano Cosmo e Ciro Auriemma, è un romanzo durissimo che traccia la mappa del traffico di cocaina nel Mediterraneo. “Guarda la cocaina, vedrai polvere”, scrive Roberto Saviano in “Zero Zero Zero”; “guarda attraverso la cocaina, vedrai il mondo”…

È un romanzo a cui tengo particolarmente perché ci è costato tanto lavoro. Ha una struttura simile a Una brutta storia come impostazione e stile di scrittura: tanti personaggi, capitoli molto brevi, colpi di scena, stacchi cinematografici, epica, noir e tragedia miscelati insieme, stile cinematografico, e grandi emozioni. È ambientato in Spagna, a Madrid, e racconta “l’inverno” di un grande narcotrafficante che vede il suo regno usurpato e deve scegliere se combattere o arrendersi. Anche lui è un personaggio tragico a cui tengo molto. Si chiama Don Pedro de la Ardila o Rafael Velasquez, a seconda di chi glielo chieda.

Il Collettivo Sabot è ormai una realtà importante nel panorama letterario italiano. I romanzi con protagonista Biagio Mazzeo – editi, come ricordato, da E/O – fanno parte della collana Sabot/Age: sabotare cosa? Come? Perché?

La collana è stata creata da Colomba Rossi e Massimo Carlotto che è anche il fondatore del Collettivo di scrittura Sabot, e il mio maestro. Nasce con lo scopo di raccontare storie negate, sabotare l’industria della menzogna con storie forti, di alto livello, capaci di rimestare con le mani nel fango della nostra società, tutto questo non richiudendosi nelle staccionate di un solo genere, ma aprendo a una narrativa di contenuti, dove il “contenitore” può cambiare. Vengono affrontati temi diversi, ma con uno stesso comune denominatore: devono essere storie che affondano le radici nella realtà e che siano in qualche modo “ribelli”. Per spiegarmi meglio, è come se il noir mediterraneo di Izzo avesse aperto i confini a tutti i generi, contaminandoli col suo potere sovversivo e il coraggio delle sue tematiche.

Lo scorso anno mi sono imbattuta in una splendida videointervista ad Antonio Tabucchi. Lo scrittore pisano cercava di rispondere alla “domanda delle domande, inevitabile per uno scrittore”: perché si scrive? Sono rimasta così colpita e affascinata dalle sue argomentazioni (“si scrive perché si è qui ma vorremmo essere là”, ha buttato lì ad un certo punto, “o perché si è andati là ma tutto sommato era meglio se si restava qui”) che non perdo occasione di girare il quesito agli scrittori che mi capitano a tiro: perché si scrive, Piergiorgio?

Antonio Tabucchi

Puoi fare questa domanda a cento scrittori e probabilmente avrai centotrentaquattro risposte diverse, anche perché ogni singolo autore cambia il suo rapporto con la scrittura nell’arco della sua vita. C’è chi scrive per fame, chi per motivi terapeutici, chi per sfogarsi, chi per evitare una strage in ufficio, chi per conquistare l’amore della sua vita, e chi semplicemente perché lo rilassa farlo e non ha nessuna ambizione di pubblicazione. Io, ripeto, non sono uno scrittore. Gli scrittori sono altri: Cormac McCarthy è uno scrittore, Hemingway, Roth, Pirandello, Javier Marìas, Baricco, Busi, Eduardo Savarese… Io al momento sono soltanto un umile romanziere, un artigiano della parola e della fiction che vuole regalare dei viaggi emotivi, delle ore di puro thrilling ai miei lettori. Non voglio essere ricordato per la mia prosa, la mia eleganza stilistica, o la mia sensibilità poetica: voglio solo emozionare chi legge le mie storie e far sì che continuino a seguirmi, e questo è possibile soltanto se miglioro di libro in libro, portando l’intrattenimento a livelli sempre più alti, ed è quello che con molta umiltà e spirito di abnegazione cerco di fare. Ovviamente curo il linguaggio e la scrittura ma senza innamorarmene: anche il linguaggio è funzionale alla storia e alla velocità che voglio imprimerle. Poi forse un giorno anch’io scriverò un libro letterario, più profondo, ma al momento questo è quello che mi piace fare e che sento di saper fare meglio.

Ogni narratore ha un lettore ideale a cui si rivolge”, mi ha confidato Grazia Verasani in un’intervista di qualche tempo fa, “e anche se scrive per se stesso è con quel lettore che cerca avidamente di comunicare”: sei d’accordo? In quale misura ti poni il problema di come verranno accolti, digeriti, rielaborati, i tuoi lavori?

Il mio lettore ideale è quello che non ha ancora letto i miei libri, quello che ha gusti diversi dai miei, quello che ha problemi con la letteratura di genere, quello che ancora devo conquistare. È lui. Nel senso che per catturarlo devo fare uno sforzo maggiore che quello di accontentare colui che è già un mio lettore; devo scrivere una storia talmente emozionante e forte che prescinda i generi, arrivando anche a lettori diversi, non deve essere una storia relegata a pochi ma qualcosa di universale, e questo lo ottieni creando personaggi forti e indimenticabili che annullino e abbattano le staccionate tra generi diversi; lo ottieni creando una storia emozionante che arrivi a toccare corde profonde. So che è molto ambizioso e forse può apparire arrogante da parte mia, ma ripeto, scrivo per arrivare a più persone possibili, è il mio lavoro. E senza un obiettivo ambizioso scrivere diventa un’attività noiosa e quasi di routine: cercare di migliorarsi e puntare più in alto, invece, tengono viva la passione e la voglia di scrivere, e questo va a beneficio mio e dei lettori.

L’artista americana Cheryl Sorg realizza enormi impronte digitali colorate utilizzando dorsi e segnalibri: come a dire che siamo fatti anche, forse soprattutto, dei libri che abbiamo letto e amato. Ci diresti quali sono i libri che costituiscono la tua impronta digitale, che hanno contribuito più degli altri a formare la tua identità? 

Risposta potenzialmente interminabile. Vediamo… tutto Dickens, tutto Stephen King, tutto Carlotto, tutto il noir mediterraneo, tutti i classici russi, Shakespeare… ecco, forse se dovessi mostrarti le mie “cicatrici”, Shakespeare è quello che mi ha “ferito” di più.

Domanda di rito: che libro tieni sul comodino, in questo momento?

In questo momento “Riti di Morte” della Bartlett perché sto scrivendo una storia su un personaggio femminile, una poliziotta, e ho bisogno di immergermi in una sensibilità femminile come scrittura e come personaggio principale. La Bartlett in questo è una maestra assoluta, un punto di riferimento imprescindibile.

Curiosity killed the cat, lo so bene… ma provo ugualmente a domandartelo: cosa significa, per un giovane scrittore, vivere a Londra?

Vuol dire entrare in corto circuito emozionale e artistico perché è una città talmente piena di stimoli e sensazioni che le storie da raccontare sono talmente tante che mi comprimono il cervello… reggerò qualche mese ancora e poi avrò bisogno di un periodo di decompressione.

Dulcis in fundo, la domanda davvero inevitabile per uno scrittore, la più banale e prevedibile del mondo: bolle qualcosa, in pentola? Ti rivedremo presto in libreria?

Al momento come ho detto sono in libreria con “Padre nostro” edito da Rizzoli, scritto col Collettivo Sabot. A Novembre 2014 esce un romanzo per le Edizioni E/O extra Mazzeo che s’intitola L’appuntamento. Faccio un’incursione fuori dal genere con qualcosa di più… lasciamo un po’ di suspense… Nel 2015 uscirà il terzo romanzo della serie di Mazzeo e il primo di una nuova serie, un romanzo più thriller che noir, sempre per E/O. In questo momento, invece, sto ultimando un noir puro sulla scia di “Arrivederci amore ciao” di Massimo Carlotto che è il mio maestro, ma di questo romanzo non conosco ancora il destino, spero comunque che trovi presto la sua strada perché è una storia tosta.

Grazie per il tuo tempo, per la disponibilità, per la potenza delle tue storie… buona scrittura e buon tutto! 

Grazie mille a te e a presto!

Simona Tassara e Piergiorgio Pulixi

(intervista originariamente pubblicata dalla Rivista letteraria Fralerighe)

Confucio dice che

se un uomo vuole far crescere un filare di grano, prima deve spalare una tonnellata di merda. Poi, un bel giorno, il buco si spalanca e la luce risplende come un raggio di sole in un’epica di Cecil B. De Mille e si sa di aver generato il devo, vivo e famelico.

Devo, come in: “Io credo che resterò su ancora qualche minuto, tesoro, devo vedere come finisce questo capitolo”. (…)

Devo, come in: “Sì, so che dovrei essere già di là a preparare la cena e mi pianterà una grana se saranno surgelati anche questa sera, ma devo vedere come finisce”.

Stephen King, Misery (1991)

La guerra era iniziata.

Questo pensò Irene Piscitelli appena vide i tre cadaveri nell’hangar. Stracci nelle nocche per impedire loro di urlare e un colpo alla nuca per ciascuno. Ma il particolare che attirava l’attenzione era un altro: a tutti erano state amputate le mani. Dalla quantità di sangue presente sul pavimento capì che gliele avevano tagliate quand’erano ancora in vita. Un messaggio abbastanza esplicito: finitela di rubare.

Piergiorgio Pulixi: La notte delle pantere (Edizioni e/o, 2014)

… ma c’è nella vera poesia

un profumo, un accento, un tratto luminoso che tutte le creature possono percepire. E voglia Iddio che vi serva per nutrire quel granello di pazzia che tutti portiamo dentro, che molti uccidono per mettersi l’odioso monocolo della pedanteria libresca e senza il quale è imprudente vivere.

Federico García Lorca

Cronaca di una morte annunciata

coverSantiago Nasar morirà.

I gemelli Vicario hanno già affilato i loro coltelli nel negozio di Faustino Santos. A Manaure, “villaggio bruciato dal sale dei Caraibi”, lo sanno tutti: presto i fratelli della bella quanto svanita Ángela vendicheranno l’onore di quella verginità rubatale in modo misterioso dall’aitante Santiago, ricco rampollo della locale colonia araba.

Tutti lo sanno, ma nessuno fa alcunché per impedirlo…

E così la morte annunciata lo sorprende nel fulgore di una splendida mattinata tropicale. Ma non per agguato o per trappola: un destino bizzarro e crudele fa sì che la fine di Santiago si compia per un concorso di fatalità ed equivoci, mentre gli stessi assassini fanno di tutto perché qualcuno impedisca loro l’esecuzione.

*

“… proverò almeno a cominciare dall’inizio”, scrive Agatha Christie nell’introduzione alla sua deliziosa autobiografia.

Proverò a farlo anch’io, con passo tranquillo e la consapevolezza che alcuni autori – e Gabriel José de la Concordia García Márquez, detto Gabo, è certamente fra questi – predispongono naturalmente alla meravigliae sfidano con caparbia, disarmante eleganza ogni tentativo di razionalizzazione. Continua a leggere “Cronaca di una morte annunciata”

Ma poiché ascoltò soltanto

il rumore della pioggerella, credette che era stato un incubo e tornò a sentire il dolore.

Aveva un po’ di febbre. Nello specchio si accorse che la gota gli si stava gonfiando. Aprì una scatoletta di vaselina al mentolo e se la unse sulla parte dolorante, tesa e con la barba lunga. D’un tratto percepì, attraverso la pioggia, un rumore di voci lontane. Uscì sul balcone. Gli abitanti della strada, alcuni in veste da notte, correvano verso la piazza. Un ragazzo girò la testa verso di lui, alzò le braccia e gli gridò senza fermarsi:

“César Montero ha ucciso Pastor.”

Gabriel García Márquez, La mala ora (1962)

… perché l’odore dell’acqua di mare

m’eccitava proprio come le sardine e le scardole della baia dei Catalani di là dalla roccia erano belle tutte argento nei panieri dei pescatori il vecchio Luigi vicino ai cento dicevano che veniva da Genova e quell’altro vecchio alto con gli orecchini non mi piace uno che per arrivarci ci vogliono le scale io dico che sono tutti morti e ridotti in polvere da un pezzo…

James Joyce, Ulisse (1922)

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Buon Bloomsday a tutti!

Gialli d’estate

Editore: Einaudi

Una ragazza che sparisce dopo un falò. Una cena all’aperto che potrebbe rivelarsi fatale. Un ladro che firma il proprio colpo con un Sette di cuori. Un uomo ucciso con un coltello per l’arrosto durante il picnic del 4 luglio. E attorno a un nido di vespe l’indagine perfetta, quella che non ha bisogno di spargimento di sangue per arrivare a una soluzione.

Undici maestri del mistero portano alla luce del sole ciò che di solito rimane avvolto nell’ombra.

Undici racconti per un’estate che si tinge di giallo.

*

  • Agatha Christie, Nido di vespe
  • Arthur Conan Doyle, L’avventura della scatola di cartone
  • Ellery Queen, L’avventura dell’angelo caduto
  • Marcello Fois, Dove?
  • Jacques Futrelle, Il problema della rosa rossa
  • Émile Gaboriau, Il vecchietto delle Batignolles
  • Maurice Leblanc, Il Sette di cuori
  • Catherine Louisa Pirkis, Il fantasma di Fountain Lane
  • Edgar Allan Poe, Il mistero di Marie Rogêt
  • Rex Stout, Il picnic del 4 luglio
  • Fred Vargas, Salute e libertà.

Il giorno che l’avrebbero ucciso,

Santiago Nasar si alzò alle 5,30 del mattino per andare ad aspettare il battello con cui arrivava il vescovo. Aveva sognato di attraversare un bosco di higuerones sotto una pioggerella tenera, e per un istante fu felice dentro il sogno, ma nel ridestarsi si sentì inzaccherato da capo a piedi di cacca d’uccelli. «Sognava sempre alberi, – mi disse Plácida Linero, sua madre, 27 anni dopo, nel rievocare i particolari di quel lunedì ingrato. – La settimana prima aveva sognato di trovarsi da solo su un aereo di carta stagnola che volava in mezzo ai mandorli senza mai trovare ostacoli», mi disse. Plácida Linero godeva di una ben meritata fama di sicura interprete dei sogni altrui, a patto che glieli raccontassero a digiuno, ma non aveva riscontrato il minimo segno di malaugurio in quei due sogni di suo figlio, né negli altri sogni con alberi che lui le aveva riferito nei giorni che precedettero la sua morte.

Gabriel García Márquez, Cronaca di una morte annunciata (1981)

Volevo che tu imparassi una cosa:

volevo che tu vedessi che cosa è il vero coraggio, tu che credi che sia rappresentato da un uomo col fucile in mano.

Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda.

Harper Lee, Il buio oltre la siepe (1960)

Sherlock Holmes,

che generalmente scendeva molto tardi al mattino tranne che nelle non rare occasioni in cui rimaneva alzato tutta la notte, era già seduto al tavolo della colazione. Mi fermai sul tappeto accanto al caminetto a raccogliere il bastone dimenticato la sera prima dal nostro visitatore. Era un bel bastone col pomo rotondo, del tipo comunemente chiamato «Malacca». Proprio sotto l’impugnatura c’era una larga fascia d’argento con l’iscrizione «A James Mortimer, M.R.C.S. dai suoi amici del C.C.H.» e la data «1884». Era proprio il tipo di bastone adatto a un medico di famiglia vecchio stampo – dignitoso, solido, e rassicurante. Di questo bastone lui andava fiero.

Sir Arthur Conan Doyle, Il mastino dei Baskerville (1902)

Sherlock Holmes prese il suo flacone

dall’angolo della mensola del caminetto e la sua siringa ipodermica da un elegante astuccio di marocchino.

Con le dita lunghe e nervose infilò l’ago sottile e arrotolò la manica sinistra della camicia.

Per un po’, osservò pensoso l’avambraccio muscoloso e il polso, costellati di innumerevoli segni di punture.

Alla fine, infilò con gesto deciso la siringa, premette il pistone e si abbandonò nella poltrona di velluto con un lungo sospiro di soddisfazione.

Sir Arthur Conan Doyle, Il segno dei quattro (1890)

Mi sento sempre attratto

dai posti dove sono vissuto, le case e i loro dintorni. Per esempio, nella Settantesima Est c’è un edificio di pietra grigia dove, al principio della guerra, ho avuto il mio primo appartamento newyorchese. Era una stanza sola affollata di mobili di scarto, un divano e alcune poltrone paffute, ricoperte di quel particolare velluto rosso e pruriginoso che ricolleghiamo alle giornate d’afa in treno. Le pareti erano a stucco, di un colore che ricordava uno sputo tabaccoso. Dappertutto, perfino in bagno, c’erano stampe di rovine romane, molto vecchie e tempestate di puntolini scuri. L’unica finestra dava sulla scala di sicurezza. Ma, anche così, mi si rialzava il morale ogni volta che mi sentivo in tasca la chiave del mio appartamento; per triste che fosse, era un posto mio, il primo, e lì c’erano i miei libri, i barattoli pieni di matite da temperare, tutto quello che mi occorreva (o così almeno pensavo) per diventare lo scrittore che volevo diventare.

Truman Capote, Colazione da Tiffany (1958)

Il villaggio di Holcomb

si trova sulle alte pianure di grano del Kansas occidentale, una zona desolata che nel resto dello stato viene definita «laggiù.» Un centinaio di chilometri a est del confine del Colorado, il paesaggio, con i suoi duri cieli azzurri e l’aria limpida e secca, ha un’atmosfera più da Far West che da Middle West. L’accento locale ha pungenti risonanze di praterìa, una nasalità da bovari, e gli uomini, molti di loro, portano stretti pantaloni da cowboy, cappello a larghe tese e stivali con tacchi alti e punte aguzze. Il terreno è piatto e gli orizzonti paurosamente estesi; cavalli, mandrie di bestiame, un gruppo di silos bianchi che si elevano aggraziati come templi greci, sono visibili parecchio prima che il viaggiatore li raggiunga. 

Anche Holcomb può essere scorto da grandi distanze. Non che ci sia molto da vedere; solo un confuso agglomerato di costruzioni diviso al centro dai binari della Ferrovia Santa Fé, un borgo qualsiasi delimitato a sud da un tratto del fiume Arkansas (pronunciato Ar-kan-sas), a nord da un’autostrada, la Route 50, a est e a ovest da praterie e campi di grano. Dopo una pioggia, o quando le nevi si sciolgono, le strade prive di nome, di ombra, di pavimentazione, passano dal polverone al fango. A un capo della cittadina si trova una vecchia costruzione spoglia, in calce, il cui tetto sorregge un’insegna elettrica – DANZE – ma il ballo è cessato da tempo…

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Truman Capote, A sangue freddo (1965)

È doloroso che una madre

debba pronunciare parole che condannano il proprio figlio, ma non posso permettere che loro mi credano capace di commettere un assassinio. Ora lo rinchiuderanno come avrei dovuto fare io quando era bambino. È sempre stato cattivo e ora aveva intenzione di dire che ero stata io ad uccidere quelle ragazze e quell’uomo, come se io potessi fare un’altra cosa all’infuori di star seduta immobile e guardar fisso come uno di quei suoi uccellacci impagliati. Loro sanno che io non posso alzare neppure un dito… e non mi muoverò! Me ne starò seduta qui tranquilla, nel caso che loro sospettassero di me. Probabilmente ora mi stanno sorvegliando, ma lasciamoli fare. Farò vedere loro che specie di persona sono. Non scaccerò nemmeno quella mosca. Spero che mi stiano osservando, così vedranno. Vedranno e sapranno. E diranno a tutti: “Ma se lei non farebbe male neppure ad una mosca!”

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A boy’s best friend is his mother. (Norman Bates)

Psycho, di Alfred Hitchcock (1960)

La signora Kampf

entrò nello studio chiudendosi la porta alle spalle così bruscamente che tutte le gocce di cristallo del lampadario, mosse dalla corrente d’aria, tintinnarono d’un suono puro e leggero di sonagli.

Ma Antoinette aveva continuato a leggere, china sullo scrittoio tanto da sfiorare la pagina con i capelli.

Irène Némirovsky, Il ballo (1930)

Novella degli scacchi, di Stefan Zweig

Fra i due si instaurò di colpo un rapporto diverso; una pericolosa tensione, un odio appassionato. Ormai non erano piú due persone che volevano mettere alla prova la propria perizia nel gioco, erano due nemici che avevano giurato di distruggersi a vicenda.

Chi è lo sconosciuto in grado di tenere testa al grande Czentovič, il campione del mondo di scacchi? Dice il vero, quando sostiene di non giocare da piú di venti anni? Quale mistero nasconde in realtà quest’enigmatico giocatore?

Scritto pochi mesi prima che Zweig si suicidasse nella città brasiliana di Petrópolis, Novella degli scacchi è una inquietante favola, «un piccolo contributo … a questa nostra epoca cosí grande e soave».

Racconto bellissimo. Molto, molto, molto consigliato.

L’Avversario, di Emmanuel Carrère

«Il 9 gennaio 1993 Jean-Claude Romand ha ucciso la moglie, i figli e i genitori, poi ha tentato di suicidarsi, ma invano. L’inchiesta ha rivelato che non era affatto un medico come sosteneva e, cosa ancor più difficile da credere, che non era nient’altro. Da diciott’anni mentiva, e quella menzogna non nascondeva assolutamente nulla. Sul punto di essere scoperto, ha preferito sopprimere le persone di cui non sarebbe riuscito a sopportare lo sguardo. È stato condannato all’ergastolo.

Sono entrato in contatto con lui e ho assistito al processo. Ho cercato di raccontare con precisione, giorno per giorno, quella vita di solitudine, di impostura e di assenza. Di immaginare che cosa passasse per la testa di quell’uomo durante le lunghe ore vuote, senza progetti e senza testimoni, che tutti presumevano trascorresse al lavoro, e che trascorreva invece nel parcheggio di un’autostrada o nei boschi del Giura. Di capire, infine, che cosa, in un’esperienza umana tanto estrema, mi abbia così profondamente turbato – e turbi, credo, ciascuno di noi».

Emmanuel Carrère

*

Un’ombra pesa sul capo di chiunque si prenda la briga di raccontare un crimine: è l’eredità assordante di Truman Capote, la purezza cristallina della sua prosa. E’ l’eco di “A sangue freddo”, pietra fondante e imprescindibile paradigma di un genere letterario: il cosiddetto “romanzo-reportage”.

Come molti di voi forse sapranno, nel 1960 l’autore di “Colazione da Tiffany” decise di dare una svolta alla sua – già luminosa – carriera di scrittore trasformando un sanguinoso fatto di cronaca (lo sterminio di un’intera famiglia in una fattoria del Kansas) in un romanzo oggettivo e impersonale che facesse propria la tesi flaubertiana secondo cui “l’artista dev’essere nella sua opera come Dio nella creazione, invisibile e onnipotente, sì che lo si senta dovunque, ma non lo si veda mai”.

Clutter House (Holcomb, Kansas): la scena del crimine narrato da Truman Capote in “A sangue freddo”.

Continua a leggere “L’Avversario, di Emmanuel Carrère”

… ma altolà. Clare?

Il resto sarebbe stato facile toglierselo dalla testa, ma non la bionda dagli occhi neri. L’ho già detto e so che mi toccherà ripeterlo: le donne non sono altro che guai, qualunque cosa uno dica o faccia.

Benjamin Black, La bionda dagli occhi neri – Un’indagine di Philip Marlowe (Guanda, 2014)

*

Foto di Walter Piana © Walter Piana Photography

Fossi in voi correrei subito ad acquistare…

La settimana bianca, di Emmanuel Carrère

Editore italiano: Adelphi

«Ero solo, in una casetta in Bretagna, davanti al computer» ha raccontato una volta Emmanuel Carrère «e a mano a mano che procedevo nella storia ero sempre più terrorizzato». All’inizio, infatti, il piccolo Nicolas ha tutta l’a­ria di un bambino normale. Anche se allo chalet in cui trascorrerà la settimana bianca ci arriva in macchina, portato dal padre, e non in pullman insieme ai compagni. E anche se, rispetto a loro, appare più chiuso, più fragile, più bisognoso di protezione. Ben presto, poi, scopriamo che le sue notti sono abitate da incubi, che di nascosto dai genitori legge un libro, dal quale è morbosamente attratto, intitolato Storie spaventose, e che, con una sorta di torbido compiacimento, insegue altre storie, partorite dalla sua fosca immaginazione: storie di assassini, di rapimenti, di orfanità. E sentiamo, con vaga ma crescente angoscia, che su di lui incombe un’oscura minaccia – quella che i suoi incubi possano, da un momento al­l’altro, assumere una forma reale, travolgendo ogni possibile difesa, condannandolo a vivere per sempre nell’in­ferno di quei mostri infantili.

Questo perturbante, stringatissimo noir è da molti considerato il romanzo più perfetto di Emmanuel Carrère – l’ultimo da lui scritto prima di scegliere una strada diversa dalla narrativa di invenzione. 

In libreria

Gli uomini erano sempre uguali,

sia che alla domenica andassero alle funzioni nella Basilica di Santa Sofia o nel Duomo di Berna. I grossi mascalzoni facevano quello che volevano e i poveri cristi finivano in galera. C’era un sacco di delitti a cui non si badava, soltanto perché più delicati, più distinti di un assassinio, così antiestetico, e che, oltretutto, esce sui giornali; eppure gli uni valevano l’altro, bastava considerarli dal giusto punto di vista e con un po’ di fantasia. La fantasia, ecco, la fantasia! Per pura mancanza di fantasia un bravo commerciante poteva combinare tra l’aperitivo e la colazione, con qualche affare spettacoloso, un vero e proprio delitto, e nessuno se ne accorgeva, tanto meno il commerciante stesso, perché nessuno aveva la fantasia sufficiente per accorgersene. La trascuratezza, la manica larga, ecco cosa rendeva il mondo insopportabile; per trascuratezza il mondo stava andando in malora.

Friedrich Dürrenmatt: “Il sospetto” (1953)

Su questo mia madre insiste fermamente:

lei parla un bel russo, io parlo un bel russo, Nana parlava un russo spaventoso.

Eppure era Nana a parlarmi in russo, non mia madre.

E’ stata lei a cantarmi la ninna nanna cosacca. E’ la sua voce che rivive in me quando me la canto da solo, a bassa voce.

E’ lei che io ho ucciso.

Emmanuel Carrère, La vita come un romanzo russo (2007)

Ha dunque un debole per le bionde?

Quando la gente mi chiede: “Signor Hitchcock, perché le protagoniste dei suoi film son sempre bionde? Ha dunque un debole per le bionde?”. Io rispondo non so, dev’essere un caso. (…) Io il debole non ce l’ho per nessuno, né per le bionde né per le rosse né per le brune, e le donne sexy… Lo sa quali sono le donne più sexy, insomma più legate al sesso? Le nordiche. Si vede che il freddo le scalda. Consideri le inglesi: sembrano tutte maestre di scuola, ma guai al poveretto che se ne trova una in un tassì. Come minimo ne esce spogliato… Continua a leggere “Ha dunque un debole per le bionde?”

Il mondo non mi deve nulla

In uno dei film più noti e celebrati di Wim Wenders, un aborigeno fugge l’apocalisse nucleare a bordo di un furgone e non smette mai, ma proprio mai, di cantare. Canta la terra,

ossia il testo sacro degli aborigeni, perché loro credono che solo cantando la terra, un pezzo ciascuno, continuamente, la potranno salvare. Ed è un po’ quello che facciamo noi: cantare pezzi della nostra terra, che sono storie, libri, suoni, immagini, pensando che se ci chiudiamo in un teatro e cominciamo a narrare, nessuno ce la porterà via.

Alessandro Baricco: Totem. Letture, suoni, lezioni (1998)

Sono passati alcuni anni dal mio ultimo viaggio sul furgone di Totem – bellissimo spettacolo teatrale di Alessandro Baricco e Gabriele Vacis che teatro non è “anche se un po’ ci assomiglia” – e tuttavia, come si sa, le esperienze più significative della nostra vita hanno il vizio di tornare in superficie nei momenti meno opportuni.

Quel che è accaduto, volendo stare ai fatti, è che la lettura del nuovo lavoro di Massimo Carlotto (Il mondo non mi deve nulla, Edizioni E/O) mi ha riportato subito alla mente la storia di Cyrano de Bergerac e il magistrale, ipnotico racconto che Alessandro Baricco ne ha fatto in Totem. Un passaggio di quel racconto spiega infatti come l’irrompere della guerra e della morte serva molto, in letteratura, a far girare la vite, a spingere i personaggi “verso il momento in cui non possono che tirar fuori la verità”. Il dolore e la morte, insomma, spremono le coscienze e – mi si conceda l’espressione un poco abusata – mettono con le spalle al muro. Continua a leggere “Il mondo non mi deve nulla”

Il 26 aprile

1937, durante la guerra civile spagnola, l’aviazione militare tedesca bombardò (con il supporto dell’Aviazione Legionaria Fascista d’Italia) una piccola città dei Paesi Baschi. Pablo Picasso immortalò l’evento e gridò la sua opposizione ai regimi totalitari in un bellissimo, lacerante dipinto:

Guernica
Pablo Picasso: Guernica (1937), olio su tela, 349 cm x 776 cm. Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, Madrid.

E’ lei che ha fatto questo orrore?, gli domandò l’ambasciatore tedesco Otto Abetz esaminando una fotografia del quadro.

No, è opera vostra

, rispose il pittore.

E’ allora che tutto ha vacillato.

Dal mare è rimontato un soffio denso e bruciante. Mi è parso che il cielo si aprisse in tutta la sua larghezza per lasciar piovere fuoco. Tutta la mia persona si è tesa e ho contratto la mano sulla rivoltella. Il grilletto ha ceduto, ho toccato il ventre liscio dell’impugnatura e è là, in quel rumore secco e insieme assordante, che tutto è cominciato. Mi sono scrollato via il sudore ed il sole. Ho capito che avevo distrutto l’equilibrio del giorno, lo straordinario silenzio di una spiaggia dove ero stato felice. Allora ho sparato quattro volte su un corpo inerte dove i proiettili si insaccavano senza lasciare traccia. E furono come quattro colpi secchi che battevo sulla porta della sventura.

Albert Camus, Lo straniero (1942)

Sono un uomo artificiale

, generato in un laboratorio modello, guidato dai principi degli educatori e degli psichiatri, che il nostro paese ha prodotto insieme agli orologi di precisione, agli psicofarmaci, al segreto bancario e alla neutralità perenne. Sarei diventato un prodotto modello di questa stazione sperimentale, se non vi fosse mancata una cosa sola: il biliardo. Così fui immesso nel mondo senza poterlo capire…

Friedrich Dürrenmatt: Giustizia (Adelphi, 2011)

La panne, di Friedrich Dürrenmatt

Adelphi

Quattro pensionati – un giudice, un avvocato, un pubblico ministero e un boia – ammazzano il tem­po inscenando i grandi processi della storia: a So­crate, Gesù, Giovanna d’Arco, Dreyfus. Ma è certo più divertente quando alla sbarra finisce un impu­tato in carne e ossa: come Alfredo Traps, viag­gia­tore di commercio, che il fato conduce un giorno al­la villetta degli ex uomini di legge. La sua auto­mobile ha avuto una panne lì vicino, ma lui non se ne rammarica, anzi: pregusta già il lato piccante della situazione. Si ritrova invece fra i quattro vecchi signori simili a «immensi corvi», che gli il­lu­strano il loro passatempo. Traps è spiacente: non ha commesso, ahimè, nessun delitto. Niente pa­u­ra, lo rassicurano, «un reato si finiva sempre per tro­varlo». Bisogna confessare, dunque: «che lo si vo­glia o no, c’è sempre qualcosa da confessare».

Tra squi­site portate e vini d’annata, il gioco si fa sem­pre più allarmante, finché Traps scopre in sé l’ar­tefice di un delitto che merita «ammirazione, stu­pore, ri­spetto», degno, anzi, «d’essere an­no­ve­ra­to fra i più straordinari … del secolo» – un de­lit­to ca­pace di rendere «più difficile, più eroica, più preziosa» la sua meschina vita di imbrogli e adul­teri. Ora, per la prima volta, quella giustizia che ave­va sempre ritenuto «astratta cavillosità ves­sa­to­ria» illumina il suo limitato orizzonte «come un im­mane, inconcepibile sole».

*

Molto, molto, molto consigliato 😉

Un requiem per il romanzo giallo

Trama originale:

Promisi sulla mia coscienza di trovare l’assassino, solo per non essere costretto a vedere ancora il dolore di quei genitori…

… e ora devo mantenere la mia promessa.

Il freddo e infallibile investigatore, il commissario Matthäi, è vincolato all’impegno preso e obbligato a risolvere il caso di una bambina di sette anni brutalizzata e uccisa in un bosco. Ma La promessa, “antiromanzo giallo”, liquida con un massimo di crudeltà e finezza il genere poliziesco colpendolo proprio alla radice, cioè nella sua favolosa e assoluta consequenzialità. Gli elementi del genere ci sono tutti: i colleghi, ottusi o altezzosi, che si rifiutano di prestare fede alle sorprendenti intuizioni del commissario; un delitto raccapricciante con drammatici precedenti; un presunto colpevole; e la sorpresa finale, con lo scioglimento del mistero e la rivelazione dell’autentico assassino. Tutto viene però parodisticamente distorto e deformato nella celebrazione funebre del personaggio del detective e del racconto giallo tradizionali. Dürrenmatt sostituisce alla morale pratica di ogni poliziotto (il delitto non paga) una morale metafisica in cui regna l’assurdo: il razionale non prevale affatto sul caos, o almeno non fatalmente, e chi fa affidamento sulla razionalità finisce per esserne la prima incompresa vittima.

*

La dichiarazione di intenti è contenuta nel sottotitolo e si dispiega con rara franchezza nelle primissime pagine di questo romanzo che non esito a definire eccezionale. Continua a leggere “Un requiem per il romanzo giallo”