La notte delle pantere

la-notte-delle-pantere-L-GQTwLddi Piergiorgio Pulixi

Edizioni E/O

Biagio Mazzeo è tornato.

Per chi ha avuto la fortuna di leggere Una brutta storia (Edizioni e/o, 2012), primo adrenalinico capitolo della serie dedicata all’ispettore superiore della Narcotici e alla sua banda di poliziotti corrotti (“la mia famiglia”, puntualizzerebbe Mazzeo con qualche buona ragione: quel branco d’anime allo sbando rappresenta il suo unico, ancorché fragilissimo, legame con la sfera degli affetti), basterà questa semplice frase a suscitare un moto di contentezza.

Avevamo lasciato le pantere della Narcotici con trecento chili di cocaina purissima fra le mani e un mare di sangue e violenza dietro le spalle; “Non c’era bisogno di parole per capire che una nuova guerra era appena iniziata”, recita l’explicit di “Una brutta storia” e il secondo capitolo – la seconda puntata, verrebbe da dire nella speranza di veder presto gli eroi pulixiani sul grande o sul piccolo schermo – riparte precisamente da qui:

La guerra era iniziata. Questo pensò Irene Piscitelli appena vide i tre cadaveri nell’hangar. Stracci nelle nocche per impedire loro di urlare e un colpo alla nuca per ciascuno. Ma il particolare che attirava l’attenzione era un altro: a tutti erano state amputate le mani. Dalla quantità di sangue presente sul pavimento capì che gliele avevano tagliate quand’erano ancora in vita. Un messaggio abbastanza esplicito: finitela di rubare.

L’avvio in quinta marcia incatena alla pagina sin dalle prime battute e regala la sensazione di non aver mai lasciato la metropoli senza nome che fa da sfondo – vivo e pulsante, più vero del vero – alle gesta delle pantere. La “Giungla”, la chiamano tutti, e non vi è termine più appropriato per descrivere questa città ferita a morte in cui la parvenza d’ordine è mantenuta a suon di crimini e corruzione. La miscela perfetta di elementi drammatici, azione e pura suspense innesca in maniera prepotente (e fin quasi “dolorosa”, man mano che si procede con la lettura) il meccanismo del “devo” così ben descritto da Stephen King in “Misery”:

Poi, un bel giorno, il buco si spalanca e la luce risplende come un raggio di sole in un’epica di Cecil B. De Mille e si sa di aver generato il devo, vivo e famelico.

Devo, come in: “Io credo che resterò su ancora qualche minuto, tesoro, devo vedere come finisce questo capitolo”. (…) Devo, come in: “Sì, so che dovrei essere già di là a preparare la cena e mi pianterà una grana se saranno surgelati anche questa sera, ma devo vedere come finisce”.

Devo, devo sapere se Mazzeo salverà tutti, se perderà strada facendo quel poco d’anima che gli resta; se ce la farà.

Devo saperlo subito.

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Le papille del piacere letterario sono solleticate al punto che ci sorprendiamo perfino a spasimare per questo feroce – e più che riuscito – antieroe tragico, a provare una sorta di beata indulgenza per la sequela di scelleratezze di cui si rende protagonista (salvo poi, recuperato il senno che la buona prosa di tanto in tanto fa venir meno, avvertire qualcosa di maledettamente simile al senso di colpa).

Merito di Piergiorgio Pulixi e del suo straordinario talento per la narrazione: “La notte delle pantere” convince ed avvince provocando come unico, inevitabile effetto collaterale una fortissima Mazzeo-dipendenza.

Dal momento che l’epilogo de “La notte delle pantere” e fonti oltremodo attendibili annunciano l’arrivo di un bastimento carico di nuove avventure, la mia modesta proposta è la seguente: procuratevi in tutta fretta, qualora non lo abbiate già letto, il primo capitolo della saga e gustatevi entrambi i titoli come se si trattasse di un unico, grande romanzo.

Se amate il dramma poliziesco ad alta tensione, i personaggi forti e l’arte del raccontare (belle) storie non resterete delusi e attenderete con ansia la prossima pubblicazione.

Simona Tassara

(recensione originariamente pubblicata dalla Rivista letteraria Fralerighe)

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